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La storia del Ruchè in quattro date

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La storia del Ruchè in quattro date

Il Ruchè è, per eccellenza, il vino delle colline del Monferrato, un vino simbolo, riscoperto solo da pochi decenni e avvolto da origini misteriose.

Il Ruchè viene attualmente vinificato da una trentina di aziende con una produzione annua di circa 700 mila bottiglie e una superficie vitata di circa 136 ettari. Un vino di nicchia, è vero, riscoperto e valorizzato dalla recente attenzione ai vitigni autoctoni, che oggi lo colloca tra le piccole DOCG italiane più apprezzate e ricercate. Per capire come è cresciuta la “sete” di Ruchè bastano due dati: nel 1988 gli ettari coltivati erano dieci, diventati 103 nel 2011.

Oggi vogliamo ripercorrere i principali snodi della storia di questo vitigno «misconosciuto e simpatico», come lo definì lo scrittore Mario Soldati, amante del buon cibo e appassionato di vino.

XIX SECOLO – LE ORIGINI LEGGENDARIE

Le notizie sono poche e nebulose, ma è certo che i terreni del Monferrato ospitassero il Ruchè già nel Medioevo. Come questo vitigno sia arrivato e quale sia l’origine del suo nome è invece meno chiaro. C’è chi vuole siano state alcune truppe Spagnole a portarlo, durante l’occupazione del XVII, c’è chi dice che il nome derivi da “rincet”, termine piemontese che identifica una degenerazione infettiva che attaccò i vitigni a fine dell’Ottocento e alla quale solo il Ruchè sopravvisse. Tuttavia, l’ipotesi più accreditata vuole che un gruppo di monaci francesi, originari della Borgogna, piantassero proprio questo vitigno intorno al convento di San Rocco (da qui anche il nome), ora distrutto.

1964 – DON GIACOMO CAUDAcauda

Correva l’anno 1964. Quando il nuovo parroco di Castagnole Monferrato, Don Giacomo Cauda, giunge nella sua nuova comunità piemontese, riceve in custodia anche i benefici parrocchiali che comprendevano alcuni ettari di vite. Don Cauda, tipico esempio di prete contadino, scopre che nei suoi vigneti c’è un’uva rossa dimenticata da decenni e decide di ridarle speranza e futuro vinificandola in purezza. Nasce la leggenda del “vino del parroco”, prodotto per la prima volta in 28 pintoni, bottiglioni. Come dirà Don Cauda: «Un dono di Dio», con «un corpo perfetto e un equilibrio di aromi, sapori e profumi unici. Degustato con moderazione libera lo spirito e apre la mente». È così che il Ruchè divenne il vino della festa, l’alternativa ad altri vini di consumo quotidiano come il Dolcetto e la Barbera.

1987 – I RICONOSCIMENTI

La DOC giunge già nel 1987, a sottolinearne l’eleganza e il grande potenziale di questo vino, le sue radici ben salde nella zona di Castagnole Monferrato. I produttori si moltiplicano e cresce la qualità e l’amore per questo vitigno “salvato”. Quando, nel 2010, giunge il riconoscimento più importante, la DOCG, Don Cauda è mancato da appena due anni: il destino non ha voluto fargli assistere al “trionfo” del suo vino, ma la sua eredità rimarrà per sempre. La DOCG protegge la qualità e stabilisce precise regole di produzione: sono soltanto 7 i Comuni in cui si può produrre Ruchè: Castagnole Monferrato, Grana, Montemagno, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi.

2009 – IL DNA DEL RUCHÈ

Brochure MORANDO.inddL’azienda Montalbera crede da sempre nel Ruchè e nella sua unicità. Per questo l’azienda ha scelto di investire in una ricerca in grado di tracciare la patente genetica di un vitigno dalla origini incerte e spesso collocato accanto ad altre varietà in realtà molto distanti per terroir ed espressione. Obiettivo del lavoro (svolto dal laboratorio Bioaesis di Ancona e pubblicato nel 2009) è stato quello di utilizzare il DNA come un invisibile barcode per determinare la tracciabilità genetica del vitigno.

Tutte le analisi effettuate hanno confermato che il Ruchè possiede un suo assetto genetico caratteristico e diverso dalle altre varietà di vite presenti nei database. L’unica varietà che si avvicina ad essa è risultata il Pinot Nero, che presenta picchi simili. L’identità del Ruchè è stata dunque tracciata e analizzata, collocando, senza ombra di dubbio, il vitigno nel panorama dei varietali autoctoni che fanno grande la viticoltura italiana.